Questa
volta a dircelo è Peter Gray, psicologo evoluzionista e
ricercatore del Boston College, che ha fatto del gioco
il suo oggetto di studio e ricerca.
Le
sue teorie prendono le mosse dagli studi pionieristici di Karl Groos – autore di “I
giochi degli animali”, 1896, e “I giochi degli uomini”, 1899 –
che ha osservato come tutti i cuccioli di mammiferi giochino, e lo
facciano tanto più a lungo quanto più sono in alto nella scala
evolutiva e vivono quindi in società più complesse, che
presuppongono l'apprendimento di un maggior numero di regole sociali.
Gray ha studiato a lungo “la
vita dei bambini nelle culture dei popoli di
cacciatori-raccoglitori”:
in queste società i bambini sono lasciati liberi di giocare dai
quattro anni fino alla tarda adolescenza quando, spontaneamente,
sentono la necessità di assumere prerogative e responsabilità
adulte. Infatti i piccoli tendono ad osservare i grandi e a
riprodurre nel gioco le loro attività, al fine di acquisire le
competenze necessarie a divenire a loro volta adulti capaci e
preparati nella cultura di riferimento.
Avanzando un parallelo con quelle
società primitive, che lasciano tempi lunghi di gioco alla propria
prole affinché questa abbia il tempo di acquisire le regole sociali
e formarsi alla vita, il professore definisce il tempo del gioco
libero/non diretto da adulti tra ragazzi come tempo da
“cacciatori-raccoglitori”.
Guardando
alla
sua infanzia, lo studioso afferma che “Quello
che ho imparato dalla mia esperienza di cacciatore-raccoglitore è
stato più utile per la mia vita da adulto di quello che ho studiato
a scuola”,
ovvero
i giochi di strada tra ragazzi in
cui impegnava i pomeriggi e le giornate liberi dagli impegni
scolastici sono stati più formativi per la sua persona rispetto alla
permanenza nelle aule scolastiche.
Negli
Stati Uniti e in molti altri paesi all'inizio del novecento, con la
riduzione del lavoro minorile e lo sviluppo urbano ancora agli
albori, il gioco infantile era il passatempo principe di quasi tutti
i piccoli. Successivamente, dagli
anni sessanta in poi,
c'è stata una progressiva strutturazione
e gestione del tempo dell'infanzia da parte degli adulti
che, tra scuola, sport e attività extrascolastiche, ha di fatto
privato
i bambini della libertà di giocare ed esplorare a modo loro.
Parallelamente
i
disturbi mentali infantili,
associati a stati d'ansia e depressione, sono
aumentati
dalle cinque alle otto volte, così come la “percentuale
dei suicidi
tra i giovani
tra i 15 e i 24 anni è più che raddoppiata, e quella tra i ragazzi
con meno di quindici anni è quadruplicata”.
Basta
leggere le cronache per imbattersi in suicidi adolescenziali spesso
dovuti ad insuccessi scolastici, che lasciano stupefatti gli adulti,
convinti che tutto andasse bene.
“Le
minori
opportunità di gioco
sono state accompagnate da una diminuzione
dell'empatia
e da un aumento
del narcisismo”,
fattori
che impediscono lo sviluppo di sane relazioni interpersonali.
Il
gioco,
come ho detto altrove, costituisce una vera e propria
palestra emozionale,
nella quale i bambini possono acquisire le competenze relazionali
necessarie a sviluppare una vita sociale soddisfacente. Competenze
che, come afferma Gray, non
possono essere acquisite a scuola,
“perché
l'ambiente
scolastico è autoritario e non democratico”,
detta regole ed esprime giudizi.
Successivamente
lo psicologo americano ha osservato “il
modo in cui imparano i bambini di una scuola alternativa come la
Sudbury valley school”.
Questo
tipo di scuola, fondata nel 1968, accoglie studenti
dai quattro ai diciannove anni,
li lascia liberi
di fare ciò che preferiscono,
non ha classi e impone soltanto il rispetto delle regole basilari
dell'istituto per il mantenimento dell'ordine. Gli adulti, “attenti
e preparati”, “aiutano
e non giudicano”.
Alla
Sudbury insomma i piccoli sono liberi di esplorare ed imparare. Il
cardine su cui ruota ogni attività di questa scuola è il
gioco:
“Mentre
giocano, gli studenti
[…] imparano
a leggere, a far di conto e a usare i computer
[…]. Non
pensano di apprendere: pensano solo che stanno
giocando o 'facendo delle cose', ma nel frattempo imparano”.
Pare
infatti che, lasciati liberi di sperimentare e decidere, i ragazzi
delle società civilizzate, così come quelli delle società più
primitive, scelgano di acquisire le conoscenze necessarie a trovare
un buon lavoro e avere una vita soddisfacente.
Capita
che in questa istituzione i
ragazzi imparino “ad
assumersi la responsabilità di se stessi e della comunità”.
Ciò
che assimila le tribù di cacciatori-raccoglitori e la Sudbury è il
creare “le
condizioni fondamentali per sfruttare al massimo le
capacità dei bambini di autoeducarsi”
nonché “l'aspettativa
sociale che l'educazione sia responsabilità dei bambini […]”.
Gray
aggiunge “Non
mi aspetto di convincere tutti che da un momento all'altro dovremmo
abolire le scuole così come sono ora e sostituirle con centri dov'è
possibile esplorare e giocare liberamente. Ma forse riuscirò a
convincere parecchie persone che giocare
fuori dalla scuola è importante”.
Nelle
scuole asiatiche, dove i bambini studiano più degli americani e dei
nostri, si è notato una forte crisi
della creatività e della capacità di relazionarsi positivamente.
“A
scuola le attività dei bambini sono continuamente giudicate: per
questo è il posto meno adatto per esercitare la creatività”. Lo
spirito
del gioco e l'assenza
di giudizio
contribuiscono a rendere le persone
più creative.
Gray
osserva quindi che “Non
si può insegnare la creatività, si può solo lasciarla fiorire. I
bambini in età prescolare sono naturalmente creativi”.
Molti
giovani usciti dalla Sudbury “continuavano
a praticare le attività che amavano a scuola con la stessa gioia,
passione e creatività di prima, ma ora ci guadagnavano da vivere.”.
Questo in una scuola normale non accade perché tutti sono obbligati
a fare le stesse cose e anche chi si appassiona ad una materia dovrà
cambiare attività al suono della campanella; “I
programmi e gli orari impediscono ai ragazzi di coltivare qualsiasi
interesse in modo creativo e personale”.
Lo
psicologo americano pensa che “Oggi
i bambini sono così occupati a fare i compiti o sono così impegnati
in altre attività decise dagli adulti che di rado hanno il tempo o
l'opportunità di scoprire e d'immergersi completamente in attività
che li divertono sul serio”.
A
ben vedere, argomenta ancora Gray, l'unica
vera competenza utile per vivere bene è andare d'accordo con gli
altri.
E il solo modo per impararla è il gioco
di gruppo.
Il
gioco, volontario perché si può entrare e uscire quando si
preferisce, presuppone la contrattazione
delle regole tra i partecipanti, ma anche il rispetto
delle reciproche esigenze affinché gli altri vogliano continuare a
giocare. “La
regola aurea del gioco di gruppo” è “fai
agli altri quello che vorrebbero che tu facessi a loro”.
“Nel
gioco l'uguaglianza non significa uniformità, ma attribuzione della
stessa importanza ai bisogni e ai desideri di tutti”.
“Il
gioco insegna le abilità sociali senza cui la vita sarebbe
insopportabile. Ma insegna anche a controllare emozioni negative
forti, come la paura e la rabbia.”
Durante
il gioco i piccoli sperimentano situazioni di paura e imparano a
gestirla, ma è importante che tale esperienza sia spontanea in
quanto non tutti sono in grado di far fronte allo stesso tipo di
paura. La rabbia conseguente ad azioni giocose viene generalmente
accolta e investita in modo costruttivo affinché il gioco possa
continuare.
“Il
mondo dei giochi è la palestra per imparare a diventare adulti.
[…]
Togliendo
il gioco,
priviamo i bambini della possibilità di esercitarsi a essere adulti
e creiamo persone che per tutta la vita si
sentiranno vittime e dipendenti,
con la sensazione di un'autorità che gli dice cosa fare e risolve i
problemi al posto loro. Non
è un modo sano di vivere”.
E
voi cosa ne pensate?
*Questo
post fa riferimento all'articolo “Lasciateli giocare” (titolo
originale “The play deficit”) di Peter Gray, pubblicato su
Internazionale N. 1031 del 2013, da cui sono tratte tutte le
citazioni.
Bello e ricco di spunti questo post, in più ma mi hai fatto venire una voglia di giocare!!
RispondiEliminaBuonissimi giochi, allora!
RispondiEliminaGrazie e un abbraccione, cara:-))